3ª Armata

Dopo la battaglia di Caporetto, tra il 2 ed il 3 novembre gli austro-ungarici forzarono anche il Tagliamento: fu ordinata perciò nel campo italiano la ritirata generale sul Piave.

Il mattino del 9 novembre il passaggio delle truppe italiane sulla destra del fiume era quasi ultimato e nel pomeriggio furono fatti saltare tutti i ponti. In quello stesso giorno il generale Luigi Cadorna, che aveva spostato il Comando Supremo da Udine a Treviso prima ed a Padova poi, veniva sostituito nel Comando Supremo dell’esercito dal generale Armando Diaz.

Questi, ritenendo Padova troppo esposta ai bombardamenti, il 5 febbraio 1918 decise di trasferire il Comando Supremo ad Abano Terme, ai piedi dei Colli Euganei, meno rilevabile dagli aerei.

Ma l’Austria-Ungheria, che non aveva saputo sfruttare a pieno la sua vittoria, si ripromise di liquidare l’Italia tramite un’offensiva risolutiva per l’estate del 1918. Il relativo piano di battaglia venne elaborato a Bolzano con l’intervento del Capo di Stato Maggiore dell’esercito tedesco Erich Ludendorff.

Tra il 15 ed il 22 giugno del 1918 i due comandanti in capo dell’esercito austro-ungarico (il generale Conrad ed il feldmaresciallo Boroevic) scatenarono la battaglia (Battaglia del solstizio), l’uno sulla linea montana dell’altipiano del Grappa, l’altro nella pianura dal Montello al mare.

L’attacco fu estremamente violento, ma l’esercito italiano si era ormai completamente ripreso dallo scoraggiamento e dal disordine di Caporetto. In una settimana quella che doveva essere la sconfitta definitiva dell’Italia si risolse in una grande vittoria difensiva. Le teste di ponte austriache in direzione Fagarè, Zenson, Maserada, Salettuol e Spresiano, videro gli austriaci ricacciati dall’altra parte del Piave.

La vittoria della III Armata

Gli austro-ungarici, oltre al gran numero di uomini, persero la loro baldanza e la certezza del successo finale. In questa occasione si vide quanto importante fosse la funzione difensiva del Piave: le acque si erano improvvisamente gonfiate, travolgendo ponti e reparti austro-ungarici, favorendo così la violenta e vittoriosa reazione della III Armata.

Dopo questa battaglia, che è la necessaria premessa della vittoria finale italiana, il fronte si stabilizzò in un vasto arco di circa 300km, dalle Alpi Retiche all’Adriatico. I due eserciti si fronteggiavano in attesa della mossa successiva.

Gli italiani erano sulla destra del Piave, gli austro-ungarici sulla sinistra.

L’esercito italiano schierava 57 divisioni, di cui 3 inglesi, 2 francesi ed una cecoslovacca (oltre ad un reggimento di fanteria americano); gli austro-ungarici 57 e mezza.

Le divisioni austro-ungariche erano però indubbiamente più forti: contavano di 724 battaglioni di fanteria, generalmente su quattro compagnie, armati ciascuno con 24 mitragliatrici. Quelle italiane avevano 704 battaglioni, su 3 compagnie, con 18 mitragliatrici ciascuna.

L’Italia ed i suoi alleati avevano però una certa prevalenza di artiglieria: 7.700 bocche da fuoco (di cui 250 inglesi e 200 francesi), oltre a 1.745 bombarde, contro 6.030 pezzi austro-ungarici.

Il comando supremo italiano era dislocato ad Abano, nei pressi di Padova, quello austro-ungarico da Baden, vicino a Vienna.

I comandi erano tenuti nominalmente dai due sovrani, Vittorio Emanuele III e Carlo I, ma erano esercitati, per l’Italia, dal generale Armando Diaz, per l’Austria-Ungheria dal generale Arz von Straussenburg

L’azione italiana della zona del Grappa doveva precedere quella del Piave: l’una avrebbe avuto inizio all’alba, l’altra alla sera del giorno fissato per l’attacco, che in un primo tempo doveva essere il 18 ottobre ma fu poi spostato al 24, anniversario dell’attacco di Caporetto.

Alle 3 del mattino del 24 ottobre l’artiglieria del XXX Corpo d’armata aprì il fuoco contro le posizioni nemiche sul Grappa, seguita poco dopo da quelle del VI e del IX Corpo della IV Armata e del I Corpo della XII Armata.

La reazione austro-ungarica fu furiosa: episodi di valore furono numerosi d’ambo le parti. Molte cime furono più volte prese e perdute. Il 31 ottobre il Grappa, isolato, crollò. Gli italiani, in quel settore, avevano avuto 34.507 morti.

Frattanto l’azione si era sviluppata anche sul Piave, che però, fra la sera del 23 ed il mattino del 24, si era ingrossato in modo pauroso per le piogge intense. La corrente aveva acquistato la velocità di 3-4 metri al secondo. Divenne difficilissimo gettare i ponti che la corrente trascinava a valle o gli austro-ungarici centravano con i loro tiri. Solo alle Grave di Papadopoli si potevano costruire piccole teste di ponte sulla riva nemica. Ma bisognava passare: i pontieri fecero sforzi sovrumani e, decresciuto leggermente il livello delle acque, il mattino del 26 il comando dell’VIII Armata diede l’ordine di passare il Piave.

Alla sera del 27 gli italiani avevano costituite tre solide teste di ponte a Papadopoli, a Valdobbiadene e a Sernaglia. Speciali drappelli di nuotatori (i caimani del Piave) mantennero le difficili comunicazioni.

La notte del 28 il livello del Piave decrebbe sensibilmente: si gettarono altri ponti e ben nove Corpi d’armata poterono trovarsi, così, il mattino del 29, al di là del fiume donde sferrarono l’offensiva.

Il giorno 30 una colonna di cavalleria e di ciclisti occupava Vittorio Veneto, mentre la III Armata, comandata dal Duca d’Aosta e schierata sul basso Piave sino al mare, avanzava verso la Livenza ed il Tagliamento.

L’esercito austro-ungarico in fuga lasciava nelle mani italiane circa 300.000 uomini e 5.000 cannoni.

Era la vittoria finale per l’Italia.

Riferimento: Odonomastica
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