I generali

Ad alcuni generali della Grande Guerra sono intitolate le vie del nostro paese.

Luigi Capello

(Intra, 1859 – Roma, 1941).

Luigi Capello è stato un generale dell’Esercito italiano durante la Prima guerra mondiale, comandante della II armata sull’Isonzo dal 1916 al 1917.
Il nome di Luigi Capello è legato ad alcuni dei più grandi avvenimenti del secolo scorso, il cui ricordo è ancora vivo e sentito: la guerra di Libia, la Grande Guerra con le vittorie di Gorizia e della Bainsizza e anche con l’oscura pagina di Caporetto, l’avvento del Fascismo e l’attentato Zaniboni a Mussolini.
Capello fu un uomo che difese la libertà come bene supremo, un cittadino che amò e servì eccezionalmente la sua patria, nonché un sincero democratico che pagò di persona ciascun suo sbaglio, fino all’ultimo giorno di vita.
Capello fu quello che, ai giorni nostri, si potrebbe considerare un uomo tutto d’un pezzo: cocciuto, ma convinto d’essere sempre nel giusto, arrivista quel tanto che basta, condottiero intelligente e dotato, tra pochissimi del secolo scorso in Europa, di sufficiente elasticità mentale e dinamica capacità di adattamento.
Nemico della burocrazia nella quale annegava l’esercito italiano già da inizio ‘900, possedeva modi fare particolarmente sbrigativi – ciò gli valse l’amicizia e la fiducia dei subalterni, mentre la nobiltà di spada lo giudicò sempre con diffidenza e distacco.

Generale Luigi Capello

Mentore di Pietro Badoglio, il generale Luigi Capello non riuscì infatti mai ad andare d’accordo con Cadorna: con questi si trovò spesso in completo disaccordo ma, fedele alla patria e alla sua professione di vero soldato, raramente si ribellò, seppur minimamente, agli ordini ricevuti dall’alto.

Fu ritenuto, assieme al suo diretto superiore Luigi Cadorna e ad altri generali subordinati, uno dei maggiori responsabili del disastro di Caporetto nell’ottobre 1917. Si difese da questa accusa in alcune ricerche di proprio pugno. L’attuale storiografia militare ha appurato comunque che le responsabilità di Capello nella disfatta di Caporetto furono gravissime: il generale infatti, in ossequio alla dottrina di Cadorna dell’attacco a tutti i costi, aveva trascurato di organizzare la Seconda armata anche per la difesa, il che portò al completo crollo del tratto di fronte che occupava a causa dell’attacco austro-tedesco.

Nonostante la sua sincera apologia sui fatti di Caporetto, Capello terminò la sua carriera militare nel 1917 e dopo la guerra si dimostrò prima un tiepido sostenitore del Fascismo, poi un fervido difensore della vera democrazia, contrario a qualsiasi forma di dittatura.

Per una sua presunta connivenza nel fallito attentato a Mussolini del 1925, Capello fu condannato a trent’anni di carcere, senza possibilità di appello. Lasciò la prigionia solo poco tempo prima di spegnersi, solo e dimenticato dalla storia e dagli allori delle sue stesse imprese, nel 1941.

Prima di morire disse: “Non potete neppure immaginare di quali tremende sventure possano essere preludio questi avvenimenti! (riferendosi al regime fascista ormai concretizzatosi dittatura a tutti gli effetti, nonché all’alleanza con la Germania Nazista). Vi assicuro che vedo il prossimo avvenire molto, molto nero.”

Riferimento: Odonomastica

Armando Vittorio Diaz 

(Mercato San Severino, 5 dicembre 1861 – Roma, 29 febbraio 1928).

Generale Armando Diaz

Armando Vittorio Diaz è stato un generale italiano, capo di Stato Maggiore del Regio Esercito durante la prima guerra mondiale, ministro della guerra e maresciallo d’Italia. Nominato Duca della Vittoria alla fine della guerra.
Avviato giovanissimo alla carriera militare, Diaz fu allievo dell’Accademia militare d’artiglieria di Torino, dove divenne ufficiale. Prese servizio nel 1884 al 10° Reggimento di artiglieria da campo, e dal 1890 al 1° Reggimento col grado di capitano. Nel 1894 frequentò la scuola di guerra, classificandosi primo, e l’anno dopo sposò Sarah De Rosa. Dal 1895 al 1916 lavorò allo Stato Maggiore, nella segreteria del generale Alberto Pollio, e nel 1899 venne promosso maggiore, comandando per 18 mesi un battaglione del 26° Reggimento fanteria.
Tenente colonnello nel 1905, passò dopo alcuni anni alla Divisione di Firenze come capo di Stato Maggiore.
Nel 1910, durante la guerra italo-turca, comandò il 21° fanteria e l’anno dopo il 93° in Libia, che era rimasto improvvisamente senza comando. Sempre in Libia, a Zanzur, fu ferito nel 1912.

Nel 1914, alla dichiarazione di intervento dell’Italia nella prima guerra mondiale, Luigi Cadorna lo nominò maggior generale, con incarico al Corpo di Stato Maggiore come addetto al comando supremo del reparto operazioni. Ma nel giugno del 1916 chiese di essere destinato a un reparto combattente. Promosso tenente generale di divisione, gli fu affidato il comando della 49a Divisione nella 3a Armata, e nell’aprile del 1917 assunse la carica superiore al XXIII Corpo d’armata. Questo breve periodo prima di Caporetto gli valse la medaglia d’argento al valor militare per una ferita riportata alla spalla.

La sera dell’8 novembre 1917 fu chiamato, con Regio Decreto, a sostituire Luigi Cadorna nella carica di capo di Stato Maggiore dell’esercito italiano. Egli disse in proposito: «Assumo la carica di capo di Stato Maggiore dell’esercito. Conto sulla fede e sull’abnegazione di tutti». E ancora, sulla condizione dell’esercito: «L’arma che sono chiamato a impugnare è spuntata: bisognerà presto rifarla pungente: la rifaremo». Recuperato quello che rimaneva dell’esercito italiano dopo la disfatta di Caporetto, organizzò la resistenza sul monte Grappa e sul fiume Piave. Memore della esperienza nello Stato Maggiore di Cadorna, decentrò molte funzioni ai sottoposti, riservandosi un ruolo di controllo.

Nell’autunno del 1918 guidò alla vittoria le truppe italiane, iniziando l’offensiva il 24 ottobre, con lo scontro tra 55 divisioni italiane contro 60 austriache. Il piano non prevedeva attacchi frontali, ma un colpo concentrato su un unico punto – Vittorio Veneto – per spezzare il fronte nemico. Iniziando una manovra diversiva, Diaz attirò tutti i rinforzi austriaci lungo il Piave, che il nemico credeva essere il punto dell’attacco principale, costringendoli all’inazione per la piena del fiume. Nella notte tra il 28 e 29 ottobre, Diaz passò all’attacco, con teste di ponte isolate che avanzavano lungo il centro del fronte, facendo allargare le ali per coprire l’avanzata. Il fronte dell’esercito austriaco si spezzò, innescando una reazione a catena ingovernabile. Il 30 ottobre l’esercito italiano arrivò a Vittorio Veneto, mentre altre armate passarono il Piave e avanzarono, arrivando a Trento il 3 novembre.

Il 4 novembre 1918 l’Austria capitolò, e per la storica occasione Diaz stilò il famoso Bollettino della Vittoria, in cui comunicava la rotta dell’esercito nemico ed il successo italiano.

Negli anni seguenti rammentò quei giorni di fortuna senza alcuna presunzione, ma conscio dell’importanza dell’opera compiuta. Egli disse: «Non mi faccio illusioni su me stesso, ma posso dire di avere avuto un merito: quello di equilibrare le forze e gli ingegni altrui, di far regnare la calma fra i miei generali e la fiducia fra le mie truppe. Sento che questa è la mia caratteristica»; giudizio col quale, decenni dopo, si mostrerà concorde lo storico Denis Mack Smith, scrivendo: «Cadorna fu sostituito da Diaz, un napoletano di discendenza spagnola. Il quale si preoccupò maggiormente del benessere materiale dei suoi uomini ed istituì degli uffici di propaganda con il compito di esporre ai soldati la condotta e le finalità della guerra».

Al termine della guerra Diaz divenne senatore, e nel 1921 venne insignito del titolo di Duca della Vittoria.

Sempre nel 1921, Diaz fu il primo italiano ad essere onorato da una ticker-tape parade dalla città di New York, in occasione del suo viaggio negli USA. Durante lo stesso viaggio, il 1º novembre, Diaz si recò a Kansas City per prendere parte alla cerimonia d’inaugurazione del Memoriale della libertà – il monumento nazionale statunitense in ricordo della Grande Guerra – che era stato eretto in quella città. Erano presenti per l’occasione anche gli altri comandanti vittoriosi delle nazioni dell’Intesa: il tenente generale Baron Jacques del Belgio, l’ammiraglio David Beatty della Gran Bretagna, il maresciallo francese Ferdinand Foch e il generale statunitense John J. Pershing. A riceverli c’era il vice-presidente degli Stati Uniti Calvin Coolidge.

Andando contro il parere di Pietro Badoglio, Diaz sconsigliò, nel 1922, una soluzione militare della crisi innescata dalla marcia su Roma.
Dopo essere entrato nel primo governo Mussolini, su precisa condizione del re Vittorio Emanuele III che intendeva in questo modo porre nel governo una figura di prestigio e lealmente monarchica, assunse l’incarico di Ministro della Guerra, varando la riforma delle forze armate e accettando la costituzione della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale sottoposta al potere personale di Mussolini.

Terminata l’esperienza governativa il 30 aprile 1924, si ritirò a vita privata. Nello stesso anno, venne insignito insieme al generale Cadorna del grado di Maresciallo d’Italia, istituito espressamente da Mussolini per onorare i comandanti dell’esercito nella prima guerra mondiale.

Morì nel 1928 e fu seppellito nella chiesa di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri, dove riposa vicino all’ammiraglio Paolo Thaon di Revel.

Riferimento: Odonomastica

Fonte: Wikipedia

Gaetano Ettore Stefano Giardino

(Montemagno, 24 gennaio 1864 – Torino, 21 novembre 1935).

Gaetano Giardino è stato un generale italiano, combattente la prima guerra mondiale.

Esce dall’Accademia come sottotenente al 8° bersaglieri nel 1882. Presta servizio in vari reggimenti e viene destinato nel 1887 alle truppe d’Africa. Nel 1894, a Cassala, città del Sudan, il tenente Giardino guadagna una Medaglia d’Argento al Valor Militare coi pochi ufficiali bersaglieri che componevano il comando e lo stato maggiore delle forze coloniali. Rimpatriato con promozione presta servizio al 6° Reggimento Bersaglieri come capitano.

Frequenta la Scuola di Guerra e il Comando di Stato Maggiore classificandosi coi primi. Fra il 1904 e il 1911 è maggiore al 3° Reggimento poi Capo di Stato Maggiore alla Divisione di Livorno e poi di Napoli. Nel 1912 allo scoppio della Guerra di Libia viene nominato Sottocapo di S.M. del corpo di spedizione. Allo scoppio della Guerra svolge le funzioni di Capo di Stato Maggiore al IV° Corpo d’armata.

Passa con lo stesso incarico, e la nomina a Generale, al II° Corpo d’armata prima di essere nominato comandante della 48a Divisione. Comanda poi il I e XXV Corpo d’armata, prima di passare alle funzioni ministeriali Ministro della Guerra. Dopo Caporetto torna al Comando Supremo con Diaz con delega al “Comitato consultivo interalleato”.

A meta del 1918 viene nominato comandante della IV Armata sul Grappa. Membro del Consiglio dell’Esercito, dal 1923 al 1924 fu governatore dello Stato libero di Fiume. Nel 1926 venne nominato Maresciallo d’Italia. È decorato di Croce dell’Ordine Militare di Savoia, di Gran Ufficiale e Cavaliere di Gran Croce nello stesso. È sepolto nel Sacrario del Grappa vicino ai suoi soldati.

Riferimento: Odonomastica
Generale Gaetano Giardino

Così scrive il tenente generale Gaetano Giardino parlando della sua armata:

Nata il 17 aprile del 1918.

Ebbe il suo comandante il 26 aprile. Il comandante le scelse il nome di “Armata del Grappa” il 29 aprile (ordine n° 6620) In sei mesi ebbe il privilegio, essa sola, di due grandi battaglie senza ombre. Il 15 giugno, la sua bella battaglia difensiva: di lunga mano preparata, breve, tenace, mordente, vittoriosa, solo con le sue forze. Dal 24 ottobre al 3 novembre, la sua dura battaglia offensiva: improvvisa, lunga, sanguinosa, il sacrificio di se, senza limiti, per la salvezza di tutti; essa sola il 70% delle perdite dell’intero esercito in quella battaglia.

Il Grappa era immortale.
L’indomani l’Armata era morta. I suoi corpi d’armata diventavano disponibili; il suo comando, conservando il numero di 4ª armata, doveva andare ad assumere il comando dei corpi che fin ad allora erano stati della 8ª armata (ordine del 5 novembre). Moriva, avendo nobilmente ed interamente assolto la sua missione, nella guerra e nella storia.>>

Il suo comandante ne scriveva l’epigrafe:
“ L’Armata del Grappa non morrà, è stata un formidabile strumento di guerra, più ancora, è stato e sarà, un fascio meraviglioso di anime, la sua gloria ha le radici nel vivo cuore del popolo italiano, che del Grappa e dei suoi soldati, ha fatto il simbolo della patria fede e della patria fortuna. Non morrà!” (ordine dell’armata, 15 novembre).

Il generale Giardino non andava ad assumere il comando della nuova armata. Firmato l’armistizio nostro e quello della Germania con gli Alleati, la guerra era finita, e, per ragioni di salute, documentate, chiedeva e otteneva di lasciare il comando. Scompariva, quindi, con la sua armata.

Fonte: Associazione Cime e Trincee

 

Fonte: Wikipedia

Emanuele Filiberto di Savoia duca d’Aosta

(Genova, 13 gennaio 1869 – Torino, 4 luglio 1931).

Emanuele Filiberto di Savoia duca d’Aosta è stato uno stratega militare, comandante della III armata. Nel 1884 fece ingresso nell’Accademia militare di Torino e nel 1887 ne uscì con il grado di sottotenente d’artiglieria. Fu a capo del corpo d’armata di Napoli (1905-1910), dopo di che fu nominato comandante designato d’armata. Con l’entrata in guerra contro l’Austria-Ungheria ebbe il comando della III armata dislocata lungo il segmento meridionale del fronte dell’Isonzo, corrispondente al ciglione carsico. Ne mantenne il comando fino a quando essa non fu disciolta (22 luglio 1919).

Nel corso delle undici offensive italiane guidò le sue unità in quel settore duramente conteso. All’inizio delle ostilità, Cadorna aveva due obiettivi: un attacco frontale della II armata contro Gorizia e la conquista dell’altopiano di Doberdò da parte della III armata. Ormai eclissata l’idea di un rapido sfondamento che avrebbe travolto l’esercito austro-ungarico, la nuova strategia era finalizzata all’occupazione di posizioni favorevoli che giovassero al regio esercito in attesa di un’eventuale aggressione da parte dell’avversario. La prima offensiva (23 giugno-7 luglio 1915), furiosa e cruentissima, non dette alcun risultato. Per la seconda (18 luglio-3 agosto 1915), la III armata fu rafforzata con tre corpi militari e con una divisione autonoma; il duca d’Aosta schierò le sue truppe su un fronte largo 15 chilometri. L’attacco si concentrò sul monte San Michele e sul versante del Sei Busi. I combattimenti raggiunsero livelli d’intensità tale che la V armata austro-ungarica si trovò vicina al collasso, ma si fermò anche l’assalto italiano dovuto allo sfinimento delle truppe. L’obiettivo militare della terza battaglia (18 ottobre-4 novembre 1915) era Gorizia e nei piani di Cadorna l’attacco doveva iniziare dai fianchi, cioè da Plava (medio Isonzo) e da Doberdò. Il comandante della III armata avrebbe dovuto sfondare le posizioni nemiche e conquistare il ciglione carsico. Lo sforzo bellico fu concentrato sul monte San Michele e sul monte Sei Busi, accompagnato da pesanti bombardamenti e sanguinosi combattimenti corpo a corpo a San Martino. Nonostante gli sforzi e le alte perdite (circa il 30% delle forze impegnate), la linea del fronte meridionale rimase quasi invariata. La quarta offensiva (10 novembre-2 dicembre 1915) era nuovamente finalizzata alla conquista del capoluogo isontino. Il tentativo del duca d’Aosta di stringere l’avversario sul San Michele spingendo le forze da meridione, ancora una volta non diede alcun risultato concreto. L’unica operazione coronata dal successo fu la conquista di Oslavia (29 novembre 1915) da parte della II armata, dopo furiosi combattimenti e pesanti bombardamenti. Questo fu il bilancio delle «spallate» sull’Isonzo.
Emanuele Filiberto di Savoia contribuì alla presa di Gorizia e si spinse sino all’Hermada, il punto più avanzato raggiunto dal regio esercito in direzione di Trieste. Con la rotta di Caporetto condusse la sua armata ordinatamente sul Piave, e dal Montello al mare resistette all’avversario. Nel giugno del 1918 bloccò l’attacco austro-ungarico sul Piave medesimo. Nell’aprile del 1919 fu promosso generale d’esercito per merito di guerra. Nel dopoguerra fu impegnato a favore dell’assistenza ai reduci e alla consacrazione dei caduti nel conflitto. Fu tumulato nel Sacrario di Redipuglia, dedicato alla memoria dei fanti della III armata.

Riferimento: Odonomastica
© Immagini e testi coperti da copyright.