La famiglia Pomini negli anni a ridosso del secondo conflitto mondiale abitava in centro a Verona e d’estate soggiornava a San Giuseppe di Treviso. Il generale Pomini decise di effettuare dei trasferimenti a causa della guerra, prima da Verona a Treviso e successivamente nella Barchessa di Barcon, considerata meno interessata da possibili attacchi aerei.
La casa di Verona
Come racconta l’ultimogenito Paolo nel suo libro di memorie “I racconti della Barchessa”, negli anni ‘40 dello scorso secolo la famiglia Pomini abitava a Verona in una casa con «tante camere da letto tutte in fila, con le finestre su Via Catullo, poi la terrazza, il salotto giallo per gli ospiti, la sala da pranzo importante, mobili dell’800 a mio avviso troppo pesanti o da figurare importanti con sedile e schienali in pelle; ci si stava in venti persone, papà e mamma sempre a capotavola; c’era un passa vivande collegato alla cucina dove appoggiavano i piatti, poi si veniva serviti a tavola, qualche piatto era sistemato in due termosifoni che avevano uno sportello come scalda vivande, ma i ricordi più importanti riguardano la sala da pranzo azzurra, che era anche un punto di ritrovo ed un salotto famigliare, con la tappezzeria celeste, le poltrone in armonia con il colore, la tavola per dodici persone, noi e altri, e nella tavola con papà e mamma a capotavola noi, otto figli, eravamo alternati per età, ai lati, […]»
In seguito ad un bombardamento alleato venne colpita la stazione di Verona ma fu interessata anche parte della città e la dimora dei Pomini subì un parziale crollo.
I vari trasferimenti degli anni ’40
Nel giugno del 1941 il generale Guido Pomini decise di trasferire tutta la famiglia a Villa Maria Adelaide, la loro dimora a San Giuseppe, appena fuori Treviso. Verona era sulla linea del Brennero, rappresentava un importante snodo ferroviario e con l’avanzare della guerra c’era un forte rischio fosse interessata da bombardamenti aerei. Inoltre in città erano necessarie le tessere annonarie per poter accedere allo scarso cibo mentre a Treviso i Pomini potevano disporre del raccolto del loro orto e della farina dei cereali prodotti nella campagna di Barcon.
Così Paolo ne parla descrivendo il trasloco da Verona del 1941: «La partenza da Verona era sempre un evento anticipato da giorni di bauli, le donne in subbuglio a preparare decine di lenzuola, di coperte, di vestiti e costumi per il mare, e accappatoi e tutto questo trafficare raggiungeva il culmine con l’arrivo di Elia; era il fattore, in precedenza l’attendente di mio padre, e con un matrimonio dai miei gestito, era anche il marito di una persona la Marietta, che in casa era vissuta per anni, un punto di repere – credo – per mia madre, per la fiducia e l’affetto accordatole e pari affetto, penso, ricambiato.
I figli di Guido e Maria Adelaide.
L’arrivo di Elia significava l’arrivo di un carro trainato da due cavalli, impregnati dell’odore di un animale che aveva percorso più di cento km che abitualmente lavorava nella nostra campagna o con Elia per trasporto di materiali; il trasloco avveniva quindi con mezzi di famiglia, una faccenda privata, direi, forse allora non c’erano i camion adibiti a questo tipo di trasferimento, ma come ho anticipato, probabile, uno sfruttare i mezzi della azienda agricola a Barcon, sempre disponibili come alternativa ai lavori agricoli.
Nel carro, era una operazione che durava ore, prima i bauli pesanti, poi le ceste, i bauli piccoli, ecc.
Per noi, per me, era sempre un ricordo dell’anno precedente, ed io cercavo di ricordare le ceste o il baule con i miei costumi, i sandali, altro. Nel finale del carico, legato tutto, due, tre volte, erano poste due tavole che allungavano la capacità portante, si dice così, e qui venivano allineate, incastrate, le otto biciclette di noi figli. Era quindi tutto pronto e dopo cena, di notte con il fresco, il carro con Elia e due contadini, suoi aiutanti, partiva.
Poveri cavalli, ne avevano del peso ed un paio di giorni dopo mi raccontavano che le ruote si erano impegnate sull’asfalto che risentiva del calore del sole, su qualche modesta salita fra Verona e Vicenza; la strada che poi portava da Vicenza a Treviso, era invece molto alberata da platani che attutivano il calore del giugno, anche allora come ora, sempre un mese caldo.»
La villa di Treviso
Sin dal 1936 i Pomini erano soliti passare le loro vacanze estive a San Giuseppe di Treviso nella Villa Maria Adelaide che Paolo descrive così: «aveva un ingresso con un ponte e l’acqua di un fosso limpida sottostante, ed era un confine e poco oltre sul bordo del fosso c’era una lastra di marmo per fare il bucato, per pescare con l’amo, talvolta con una rete; il ponte aveva un cancello con due colonne abbastanza importanti, in stile con l’epoca della costruzione e si saliva quindi per una strada sempre tenuta in ordine con ghiaia, passando vicino ad un bosco, tre magnolie e tanti alberi, e la vasca con una statua ed i pesci rossi, un giardino all’italiana e con un boschetto di ippocastani su un altro lato. […] La casa aveva un ingresso di rappresentanza sulla facciata, ma noi usavamo quello posteriore o l’ingresso della cucina. Il boschetto a destra finiva dove incominciava la casa con le stalle, i granai, il fienile e le camere di Toni e Amalia (i custodi, ndr) […]; sotto c’era il garage, la stalla dei cavalli, la cantina, la lavanderia, ed alcuni locali per polli e conigli. Il fienile serviva per sistemare il fieno del prato dietro la casa, tre tagli nell’anno, e in continuazione con l’ingresso post c’era una pergola di uva, matura in vari momenti, un arco sotto cui si passava guardando i grappoli.»
Villa Maria Adelaide, San Giuseppe di Treviso.
Tratta da “I dipinti di Maria Adelaide. Ricordi sentimenti ed altro ancora” di Paolo Pomini.
Nella villa era presente anche una cappella dove la domenica mattina un frate carmelitano celebrava la Santa Messa.
Durante gli ultimi anni di guerra nei prati di Villa Maria Adelaide furono installate due postazioni di mitragliatrici della milizia contraerea tedesca come protezione da possibili attacchi aerei al vicino aeroporto ed alla ferrovia.
A guerra finita furono gli inglesi ad occupare la villa, insediando un reparto di Military Police.
Il trasferimento a Barcon
Dopo l’armistizio delll’8 settembre 1943 l’Italia fu divisa in due e nelle regioni settentrionali, in cui fu istituita la cosiddetta Repubblica di Salò, si intensificarono i bombardamenti alleati verso infrastrutture e città. Non ritenendo più sicura neanche la loro villa di Treviso, troppo vicina alla stazione ferroviaria Treviso-Santi Quaranta, il generale Pomini decise il trasferimento della famiglia a Barcon, dove la Barchessa aveva spazio a sufficienza.
Nel suo libro Paolo Pomini descrive così lo stato della Barchessa nel 1943:
«La Barchessa, […] insiste su una campagna di cinque ettari contornati da mura, con una strada che in parte la circonda e presenta l’attuale ingresso, un cancello con due grandi finestre con caratteristiche “inferriate” ai lati […]; entrando per un breve viale si arriva nel portico con le maestose colonne; la disposizione è da nord a sud, ed alla fine del portico c’è una specie d’aia, lastricata, il “selese” al fine di distendere eventuali modeste quantità di grano o mais per farle asciugare, con il sole che è quasi sempre presente, per una esposizione a “mezzogiorno”. Nel portico, sul lato corto verso nord e sulla continuità delle colonne palladiane, è presente un portoncino che dà l’accesso alla strada, un passaggio pedonale da noi usato anche e specialmente con le bici, il nostro abituale mezzo di trasporto, allora. […] Massari, l’architetto, aveva diviso il piano terra: il portico con le caratteristiche colonne palladiane, mentre fronte strada c’era un portico con travi a soffitto, ma chiuso ed adibito a deposito di materiali, carri e recentemente per diverse carrozze; la parte centrale adibita a cantina e qualche servizio; al primo piano un granaio e le stanze create per esigenze agricole, diventate la nostra abitazione di sfollati. Sottostante al tetto, un enorme granaio con una progettazione di travature, innovativa e tuttora oggetto di studio per l’originalità delle strutture.
La Barchessa negli anni ’50.
Tratta da “I racconti della Barchessa” di Paolo Pomini.
Per il deposito del frumento era certamente adibito il granaio sottostante al tetto, mentre per il mais era adibito il granaio al secondo piano con le finestre verso il portico, mentre sul lato strada le finestre corrispondevano a diverse stanze, alcune adibite prevalentemente per uso agricolo: per i bachi da seta, la prima attività dopo l’inverno, la cui alimentazione era costituita dalle foglie di gelso grazie a numerose piante presenti a filari nella campagna; nel ciclo delle coltivazioni e dei raccolti tali stanze nell’autunno venivano adibite a depositare una parte di uva per fare qualche vino particolare, passito o recioto. E l’uva, un raccolto certo importante, aveva al momento della vendemmia, una piacevole ospitalità nella enorme cantina all’interno del portico, con due o tre accessi, anche direttamente con i carri ed i caratteristici tini che arrivavano dalla campagna pieni di grappoli.»
La famiglia Pomini continuò ad abitare in Barchessa fino alla fine della guerra ma Guido e Maria Adelaide rimasero anche negli anni successivi.
Fonti:
I dipinti di Maria Adelaide. Ricordi sentimenti ed altro ancora
di Paolo Pomini 2008, Lombardo Editore, Roma
I racconti della Barchessa
di Paolo Pomini 2011, Lombardo Editore, Roma