La bachicoltura o sericoltura, ossia l’allevamento del baco da seta (cavaliér, in dialetto), come in gran parte del nord Italia fu attiva anche a Barcon ed ebbe una vasta diffusione perché poteva garantire un reddito di gran lunga superiore ad ogni altra coltivazione locale; venne praticata in paese già dal XVI secolo e fino a metà degli anni ‘60 del secolo scorso, con solo poche famiglie che continuarono ad esercitarla per qualche decennio.
Il 6 luglio 1567, durante il processo contro il priore di Barcon, dalle testimonianze emerge che i Pola possedevano alberi di gelso le cui foglie venivano raccolte per i bachi da seta. Si tratta del primo documento che attesta la diffusione della bachicoltura nel nostro territorio.1“Barcon di Vedelago. La storia che non ti aspetti” di Paolo Miotto 2023, GoPrint, Camisano Vicentino (VI) (pag. 121).
Francesco Agnoletti2“Treviso e le sue pievi”, di Francesco Agnoletti 1898, Stab. tip. ist. Turazza, Treviso (vol. 2, pag. 306)., scrive di un setificio Milesi presente a Barcon già nel XVIII secolo: i Milesi erano una famiglia di commercianti della seta di origine bergamasca, trasferiti a Venezia nella seconda metà del XVII secolo.3Enciclopedia Treccani: MILESI, Francesco Maria Questa notizia fa supporre che a quell’epoca l’allevamento del baco da seta non spettasse alle singole famiglie ma fosse una impresa industriale.
In epoche più recenti la quasi totalità delle case barconesi erano direttamente interessate alla pratica della bachicoltura. Un po’ tutti i membri della famiglia erano impiegati nell’attività che rappresentava probabilmente la fonte di maggiori entrate per le povere economie contadine.
Parallelamente alla bachicoltura ci fu una trasformazione del paesaggio agrario con una massiccia piantumazione di gelso bianco (moraro), indispensabile per il nutrimento dei bachi, che andò a sostituire altre forme arboree nei filari e nelle siepi dei campi e che ancora oggi resiste in alcuni appezzamenti.
La bachicoltura in barchessa
I Pola praticavano l’allevamento del baco da seta già nel XVI secolo e possiamo ipotizzare che quando Giorgio Massari riprogettò la villa e tutto il brolo, dovette tenere in considerazione la destinazione di spazi da adibire alla bachicoltura nella nuova barchessa.
Dai ricordi di Paolo Pomini emerge che nel vasto primo piano della barchessa era state ricavate delle stanze, alcune adibite prevalentemente per le attività agricole, con le finestre che davano a ponente, verso la strada. Nel mese di aprile l’allevamento dei bachi da seta rappresentava la prima attività dell’anno agricolo e si svolgeva in queste stanze dove i piccoli bruchi venivano alimentati dalle foglie delle numerose
piante di gelso presenti nei filari nella campagna.4“I racconti della Barchessa” di Paolo Pomini 2011, Lombardo Editore, Roma.
I piccoli bachi nati dalle uova venivano messi sui graticci e alimentati più volte al giorno con foglia fresca di gelso finemente trinciata ed i letti venivano periodicamente ripuliti per evitare malattie al baco. Man mano che il baco cresceva la foglia veniva somministrata prima intera e successivamente con tutto il ramo.
In 27/28 giorni, passando attraverso quattro dormite, i bachi crescevano da pochi millimetri fino a diventare lunghi 8/9 centimetri ed insieme a loro cresceva la quantità di cibo necessaria e lo spazio occupato e ciò comportava la necessità di riconfigurare le strutture e le aree preposte.
Al termine delle fasi di crescita, sulle strutture venivano collocate frasche secche di gelso fissate obliquamente l’una contro l’altra per permettere ai bachi di arrampicarsi e costruire il bozzolo (gaéta) dove compiere la metamorfosi in crisalide. Durante questa fase, non di rado gli allevatori bruciavano all’interno degli ambienti delle essenze o profumi con l’intento di stimolare i bachi ad effettuare la loro ultima trasformazione.
La costruzione del bozzolo durava 3/4 giorni.
Terminata quest’ultima fase della coltivazione, i bozzoli venivano raccolti in sacchi e portati alla filanda di Vedelago o al consorzio di Montebelluna dove proseguiva la lavorazione.
Il bozzolo del baco da seta, in dialetto “gaéta”.
L’allevamento veniva curato nelle case dei contadini ma tanto doveva essere la convenienza di questo tipo di coltura da indurre coloro che non possedevano spazi idonei ad affittare i locali presso le abitazioni di altri. Le stanze adibite a questo scopo dovevano avere finestre ed anche aperture supplementari per garantire la necessaria aerazione.
Per ottimizzare lo spazio e permettere di allevare quanti più bachi possibile, le strutture a graticcio con fondo in canne o tela che dovevano contenere i bachi venivano sovrapposte, simili a letti a castello.
Durante le prime fasi dell’allevamento, quando i bachi erano ancora piccoli, le strutture potevano essere collocate anche nelle cucine per difendere la coltura dalle fredde primavere sfruttando il calore del focolare. Verso la fine della coltura, quando i bachi erano diventati più grandi ed avevano bisogno di più spazio, i graticci venivano spostati in ambienti più ampi.
Il baco da seta, in dialetto “cavaliére”.
Negli anni 1960 il declino della bachicoltura non riguardò solamente il nostro paese ma anche il resto d’Italia e fu dovuto fondamentalmente a due fattori: lo sviluppo della produzione di fibre sintetiche ed il cambiamento dell’organizzazione agricola.
Per maggiori informazioni sul baco da seta e la bachicoltura: Enciclopedia Treccani.
Per vedere i materiali e le memorie della bachicoltura: Museo del baco da seta di Vittorio Veneto (TV).