Il conte Paolo Luigi Pola è uno degli ultimi discendenti della nobile famiglia di origine istriana.
Scrisse diversi libretti messi in musica da importanti compositori italiani come Saverio Mercadante, Giuseppe Persiani, Stefano Pavesi, Pietro Generali e Giovanni Pacini.
Dell’opera di letterato di Paolo Luigi Pola, nel 1807 Domenico Maria Federici scrive:
In età giovanile ancora il K Paolo Pola che per le sue tragiche comiche ed altre Poetiche composizioni si merita un posto fra Letterati e la famiglia di questo K onora altresì la Patria col Domestico Museo Numismatico che dal di lui Padre Co Antonio si accrebbe e si custodisce .
Della letteratura trevigiana del secolo XVIII sino a nostri giorni
Domenico Maria Federici, 1807
Paolo Luigi Pola scrisse una poesia vernacola diretta alle due nipoti Albetta e Marina Albrizzi, figlie di Antonietta Sofia e spose nel 1840. Questa è la massima parte tratta da «Fronde e fiori del Veneto Letterario in questo secolo Racconti Biografici per Gerstenbrand» del 1872:
Xe zorno , coragio
Da brave , putele ,
Scampae xe le stele
Dai campi del ciel.
I amici , i parenti
I ariva a momenti ;
El nonzolo al prete
La cota ghe mete ;
I Sposi xe qua.
Slissarse, lustrarse
No serve i cavei ,
I è mori, i xe bei,
I piase cussi .
Xe vero che l’uso
Pretende ch’el muso
De chi se marida
Per forza sorida
Con nastri , con fiori
De mile colori,
Ma in pien le xe frotole
Che un xero no val .
Per farse dir bele,
Mie care putele ,
Xe inutili i rizzi ,
Le scufie, i pastizzi ,
Ghe vol un musoto
Alquanto stramboto,
Ghe vol un ochieto,
Che mezo furbeto
A tempo lu sapia
Da cuco anca far .
Perchè la modestia
Che frena ogni bestia
( A dirla fra nu).
In faza la zente
La stuzega el dente
La piase de più .
Vardè co se dise
Co vol la fortuna ,
Co sufia propizio
El vento in laguna.
Ghe xe tante pute
Che gnanca xe brute ,
Nè gobe, nè zote,
Con roba, con dote,
Con spirito, e brio
Che aspeta un mario,
Che casca dal cielo ,
Sia vechio , o putelo
Disposte de tiorselo
Za come che el vien .
E pur, poveraze,
Ste bone ragaze
Con tuti i so meriti,
Futuri, preteriti
Al palo ligae
Le sta desperae,
Ne un can no le trova,
Che vegna per prova
Facendo mignognole
Per darghe la man .
E vu do sorele
( Do bone putele
No gh’è da ridir , . . . )
Belote abastanza,
( Ma gnente che avanza
Che faza stupir . . . . )
Con dote discreta,
Ma un nono poeta
( So cossa voi dir … )
Vu altre , ripeto,
Col primo tragheto
Vegnue sula riva
Apena la piva
Fe’ intorno sonar
« Me voi maridar »
Che tachete in bota
Chiapar fe la cota
No za a do merloti ,
Ma a do zovenoti
…………………………
Ma basta … qua un baso …
Sufiemose el naso …
Vegni qua da mi .
Parlemose schieto …
Vardeme … scometo …
Mi digo de si
Che un ano no passa
Che qualche bardassa
Bisnono me fa:
E andando a sto troto.
Deboto, deboto …
Se a farme la sagra
La longa, la magra
Gran pressa no ga .
Mi digo de sì
De tritavo el titolo
Xe pronto per mi .
Di seguito alcuni testi di Paolo Luigi Pola che abbiamo raccolto per la lettura.
Opere di Paolo Luigi Pola
Componimenti di Paolo Luigi Pola
In occasione della sua morte a vari autori trevigiani fu chiesto di creare “componimenti poetici ed iscrizioni”. Di seguito il sonetto del “Nobile Signor Conte Paolo Pola”:
Morte che fai! Perchè il funebre manto
Dal sen di svelli! E perchè truce in volto
Minacci ogn’uom, che ti s’affaccia, e sciolto
Versi dagli occhi inusitato pianto!
Qual insolito duol t’accora tanto!
E perchè mai l’incerto piede hai volto
Fuggitiva e tremante! e quali ascolto
Miste grida lugubri a tetro canto!
Mira, dic’ella a me con fioca voce:
I Genj tutti, e l’Arti belle intorno
Di me chiedon dal Ciel aspra vendetta.
Pallade istessa irata in volto, e atroce
Bieca mi guata, perchè tronco ho il giorno
Di quel, che il Ciel da sì gran tempo aspetta.
Giordano Riccati, fisico, architetto, matematico e teorico della musica, naque a Castelfranco Veneto (TV) il 25 febbraio 1709 dal conte Jacopo e dalla contessa Elisabetta d’Onigo.
Morì a Treviso il 20 luglio 1790.
A distanza di qualche mese dalla sua morte nell’Ateneo di Treviso fu eretto un busto in memoria dell’illustre conterraneo.
In quell’occasione ci fu una cerimonia molto partecipata in cui tra discorsi ufficiali e musiche solenni, «furono letti sette componimenti poetici dei signori:
Prof. Giuseppe Barbieri, Mons. Bartolomeo Villabruna can. de. di Feltre, Co: Paolo Pola cav. della Corona di Ferro, Dottor Anselmo Zava, Consiglier Antonio Bottar, Dottor Bernardo Princivalli, Michelangelo Codemo.»
IL GIORNO 15 OTTOBRE 1822.
ODE
DEL CONTE PAOLO POLA
CAVALIERE DELLA CORONA DI FERRO.
Prendi la cetra d’ebano,
Musa dal bruno ammanto,
Tempri l’acerbe lacrime
D’Europa un flebil canto.
Che l’aspro duol rammemori
A le più tarde età.
Cosperse il crin di cenere
Vedi l’Arti sorelle
Guardar dogliose il vedovo
Seggio di Fidia-Apelle,
Ed esclamar baciandolo:
Chi mai qui sederà!
Roma per fasto antiquo
A non turbarsi avvezza,
Che de la sorte instabile
Il rotear disprezza,
Impallidisce, e palpita
Al dir ch’ei più non è.
Cupo silenzio accerchia
L’ officina deserta
Da mortal notte squallida
D ’improvviso coverta,
Per sino i marmi attestano
Spento de l’arti il Re.
Varcato appena il torbido
Tragitto de la vita
Vedrai, beato Spirito,
Quella fonte infinita,
Che ti prestò le immagini
De l’ideato bel.
Al tuo partir mugghiarono
Le viscere dei monti,
Poiché più non vivifica
Le loro alpestri fronti
La destra tua, de l’anima
Interprete fedel.
Chi sa quant’opre esimie
Dal tuo pensier concette
Nel cieco oblio de’ secoli
Dovran restar neglette,
Chiedendo invano ai posteri
Un genio animator.
Solo affrontar intrepida
Vedrem del tempo i guasti,
A la divina Triade
La mole, che dicasti;
Di tua pietà l’immagine
Fitta a un fratello è in cor.
Dirà il tuo colle ombrifero
Ricco del magno tempio,
Che a noi tramanda l’attico
Ed il romano esempio,
Qui egli ebbe culla, e tumulo
A piè di questo altar.
Verran le caste vergini,
Verran gli orfani figli,
Sul loro padre a spargere
Misti ai giacinti i gigli,
Verran le madri a piangere
L’amico tutelar.
La tremula canizie,
Orando a l’urna accanto,
Ai peregrini incogniti
Additerà col pianto
Dov’è la man benefica,
Che la soccorse un di.
Da quelle labbra ingenue
Si tesserà la storia
Di tua vita purissima,
E la dolce memoria
Di tue virtù pacifiche
Si onorerà così.
Amor santo di patria,
Che vivo ognor risplendi,
Se de la grama Italia
La fioca voce intendi,
Sì cara spoglia esanime
Deh, vieni a custodir.
Tu dei mostrarla ai popoli
De i liti più remoti,
Del generoso Wasington
A gli emuli nepoti,
Che qui verran per mescere
I loro ai tuoi sospir.
Tu dei vegliar su i turbini
Sui nembi e le tempeste,
Sul distruttor vandalico
Genio di genti infeste,
Onde quel sonno placido
Non si turbi mai più.
Su quella tomba posati
Santo di patria Amore,
Se tu fosti delizia
Unica di quel core,
Conforta almen co l’alito
L’amico tuo, che fu.
Antonio Canova, scultore e pittore attivo a cavallo tra 1700 e 1800, ritenuto il massimo esponente del Neoclassicismo in scultura e soprannominato per questo «il nuovo Fidia», era nato a Possagno (TV) nel 1757 e morì a Venezia il 13 ottobre 1822.
Originale in Illirico:
Siddilla Momma kod mora
Mommieza möru govori :
Jelli scto scirje od möra ?
Jelli scto slaggie od medda ?
Jelli scto draxije od bratta ?
Ribbicza glavu pomolli
Ribbicza Mommi govori :
Scirjeje nebbo od möra
Slaggije czelov od medda
Draxije gliubi od bratta .
Traduzione del conte Paolo Luigi Pola:
Pastorella gentil pensosa un giorno
In riva al mar sedea ,
E guardando d’intorno
Così fra sè dicea :
Avvi del mar cosa più grande al mondo ?
Del mel cosa più dolce ? E d’un fratello
Cosa più cara mai ? …..
Quand’ecco un pesciolino a lei dinnante
Fuor dell’onde guizzante
Rispondere così :
Del mar che vedi è ‘l ciel più grande assai ;
Del mel più dolce un bacio proverai ;
È uno sposo fedel
Più caro d’un fratel .
PAOLO POLA, patrizio trivigiano, coltivò con amore e con plauso le lettere, a cui fu da morte rapito dopo il 1830.